VINCENZO PEZZELLA DEDALUS
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SCRITTURA - BLOG

DEDALUS e LUCY

3/12/2019

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Grazie fb per aver sollecitato questo post che darà inizio ad un evento non evento. La rete stessa sarà navicella spin di questo viaggio. Un'autobiografia possibile comincia nello spazio/tempo.
Non può essere altro che un viaggio piccolo borghese come quello dell'antieroe ma che, in questo caso, non ha neanche una meta, una destinazione, puntando solo a una trasformazione di fase. L'anello di fb è solo un più esteso circuito, dopo quello del metrò e dell'L.H.C. in cui girano i fasci, là di protoni, qui le idee.
Come per le biografie così ci sono le autobiografie.
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Dedalus e Lucy

1/30/2019

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Dedalus e Lucy

Lettera scritta sull'acqua 

E con questa, mio/ei lettore/i fb, mi congedo dalla narrazione delle POESIEdiTRANSITO.
LETTERA SCRITTA SULL'ACQUA: ±E = 0
Abbiamo sempre una lettera da consegnare, ma non ci decidiamo mai perché dentro ci dobbiamo scrivere ciò che siamo stati. E il coraggio ci manca. Inoltre il castello che dobbiamo varcare non prevede il ritorno e nemmeno la certezza che giungeremo in qualche luogo o ci accoglierà qualcuno, né che saremo ascoltati. Tutta la vita siamo stati concentrati con la penna in mano per cogliere quel momento che ci facesse dire: ecco ho capito, sì ho vissuto! Per fortuna che la fretta e impazienza diminuisce con il tempo e così quando saremo nelle vicinanze del luogo che dovrebbe ricevere le nostre suppliche di una ritrovata umiltà, dopo aver attraversato quel deserto dei Tartari, ci accorgeremo di aver cercato un'America che avevamo distillato nel sangue come un Gan' Eden, un giardino delle nostre utopie dove abbiamo sperato di perdere la storia, di liberarci dalla catena di Psiche. Ma invano, perché il tempo è stata la nostra misura e la velocità del treno era l'unica che i nostri sensi percepivano; erano il nostro limite: nessuna formula ci veniva a soccorso per dirci qualcosa sulla nascita, farci immaginare la madre, il padre ai quali consegnare il nostro debito, la nostra lettera, o quelle poche parole balbuzienti che siamo stati in grado di scrivere sulla sua carta d'acqua.
Per fortuna, inspiegabilmente i rimpianti ci riaprono le ferite, che strano a dirsi, ci legano in un contatto di specie, seppur conservando quello spirito indomito di migratore che m'appartiene nell'indole più che nella valigia del turista. “Io – vagabondo... quel bambino che giocava nel cortile...” e portava con sé la libertà dell'ignoto, quando poi negli anni ci dibattiamo con quel celeste cielo che non sa accoglierci ricordandoci la nostra gravità, mentre una polvere d'oro, tra lo spruzzo di latte di Era e l'inseminazione di Danae, negli show dei talents, ci promette, oggi, una vita da stelle.
E si farà seme e germoglierà nel corpo nero di Planck come fu nel ventre di Maria e della Mariée e prim' ancora di Eva e di Lucy e così sarà poi di mia figlia Margherita di memoria faustiana, anche lei figlia di Lucy e di tante madri nell'infinita catena genetica? Alieni e alienati per maturare la bruciante coscienza che siamo noi quella lettera, e troppo tardi sarà quando ci accorgeremo, giunti dinnanzi al sorvegliante e con indescrivibile sorpresa, riconoscendolo come in uno specchio, che quella lettera dobbiamo consegnarla a noi stessi!

GIORGIO MOIO
Intervista a Vincenzo Pezzella, autore di Poesie di transito.
Ci sono poeti che scrivono e riscrivono le loro poesie forse perché insicuri, tagliano, aggiungono, tolgono col rischio di perdere l’idea originaria. Non è il caso di Vincenzo Pezzella, il quale in Poesie di transito 1994-1999 (Edizioni “Archivi del ‘900”, 1999) ha raccolto poesie scritte di getto, come si diceva una volta alle scuole d’infanzia, in brutta copia, senza rivisitazione. Un’altra “anomalia” è data dal fatto che le ha scritte su foglietti tipo biglietti da visita che si stampa personalmente nelle macchinette della sotterranea della metropolitana. Esse si alimentano del quotidiano, di una lingua metropolitana – ci fa notare l’autore – che si annida in ciascuno di noi, coltivano odori, percezioni, sentimenti, odio, violenze, speranze, rumori, indifferenze. Un tutto magmatico come la vita.
Sono poesie non “infinite”, il risultato del mondo della vita comune frammentato dalla quotidianità delle città ingabbiate nella globalizzazione economica e culturale, risultato di un linguaggio non lontano dalle sperimentazioni avanguardistiche. Leggendo queste poesie facciamo la conoscenza di paesaggi multietnici di Roma Termini, di Napoli Piazza Garibaldi e della zona flegrea, delle Langhe e palermitane, di Milano, etc.
Violenze organizzate e minorili che il poeta ha incontrato sulla sua strada vanno pari passo con i
sogni dei giovani e i cancri delle periferie,

«tra-ambulantiAfricani-con-carrozzini/ di-merce”
milleliremangiareperfavore”-/ e-il-marevulcanico-dei-vicoli-le-lolite-sulle-/ funicolari-per-
Posillipo-i-posteggimoto-i-soldi-/ e-le-puttane-in-P.zzaGaribaldi-su-scarpezattere/ in-top-esorrisi…».


Chi avrà la meglio in questa babele? È una domanda che il poeta lascia senza risposta, come giusto che sia.
Ha percorso chilometri e chilometri per la Penisola Pezzella, tra sogni e realtà, tra fughe e indolenza
di un popolo che spesso dimentica di appartenere alla categoria del genere umano. Il tutto abilmente con una poesia stampata in una forma vicino alla poesia concreta, con diversi caratteri e corpo, che
spesso fa ricorso a immagini fuori testo (un volto di donna, disegni, immagini di paesaggi, una macchina fotografica, l’uomo vitruviano di Leonardo, l’atomo) o chiede aiuto ai grandi poeti del passato (Byron, Merini, Pasolini, Dylan) per ricordarci che quando finisce un sogno bisogna pensare ad un altro, perché «Ognuno-va-incontro-al-suo-InFiNiTO».

​

Vorrei cominciare questa intervista con una domanda, forse banale ma utile per i lettori: chi è Vincenzo Pezzella?
Me lo domando, a volte, anch’io: lo sto scoprendo a poco a poco, di certo un viaggiatore che continua una lontana antropologica migrazione, irrinunciabile. Le opere, ( pittura e scrittura ), i manufatti di questo viaggio cominciano dagli anni ’70. Sono tutte opere sconosciute che sto catalogando in circa 2000 immagini con il progetto di farne un libro, un altro viaggio, forse
l’ultimo?
Per chi vuole accedere a informazioni spicciole, mi può cercare nel pozzo di San Patrizio della rete.
C’è molto riferimento a Napoli in queste poesie. Se dovesse fare un breve quadro della città…
Il viaggio termina a Napoli narrativamente, là dove ha inizio la mia biografia per quello che ne so; è vissuta da me come un canzoniere e come la Dublino per Joyce: contraddizioni e visionarietà per ritornare all’altra domanda. L’ho lasciata con lo stesso cuore “a poppa” con lo stesso bisogno di ignoto e visione dello “spleen”.

Cosa ha voluto trasmetterci con queste poesie?
Le PoesieDiTransito non sono solo un’opera poetica (so che è difficile comprenderne il senso) ma tant’è che è così; altri linguaggi ne sono intrisi, disegno, grafica, foto, video, performance, mappe. Cosa hanno trasmesso a me che mi considero il portatore di un’energia, di un magnetismo preesistente; direi uno stato di conoscenza non sempre razionalizzabile, certamente l’essere in
“ascolto” di un viaggio umano a cui non posso sottrarmi.
Poesie nate nel 1999, con atmosfere e situazioni, dunque, “vecchie” di 20 anni.

Cosa è mutato, secondo lei, nell’ambiente poetico?
All’ambiente poetico come all’ambiente dell’arte non sono interessato, li trovo alienati e poco critici. Sono interessato al linguaggio. Semplifico, pur interpretandone un contenuto: quest’opera poestica testimonia il confine e anticipazione della liquidità della lingua contemporanea della sua contaminazione digitale; credo che la poesia in quanto lingua debba contaminarsi con il suo presente storico, non a caso Dante, Petrarca, Leopardi, scrivono in un’altra lingua che noi oggi non parliamo più, la leggiamo ma non la parliamo.

La poesia oggi sembra destinata all’oblio. Come se ne esce?
Al contrario, direi che è un ingorgo di citazioni, una “parolaterapia” sempre più diffusa; ma se manca la vita non si esce dall’alienazioni e resta solo la “citazione della poesia” perché non c’è storia.
Facendo nostra una sua espressione, esiste una poesia metropolitana contemporanea che riflette sull’esperienza della strada, on the road, alla Jack Kerouac, secondo coscienza?
Per quello che ne so quando la scrivevo venti anni fa era la sola con queste caratteristiche estreme di modalità performative; e va detto che non solo gli americani mi sono stati compagni nel viaggio, anche Baudelaire, Rimbaud, Campana, tra i primi visionari delle “metropoli”.

Secondo lei, e concludiamo, la poesia deve essere contraddizione o visionarietà del poeta?
Entrambi gli stati; non si dà l’uno senza l’altro. Credo che la poesia sia sempre radicata in un momento storico-umano e che nello stesso tempo tenda a una visione “utopica” in senso positivo, a una percezione di assoluto come per la fisica.

CinquecolonneMagazine 12/03/2018

​
DEDALUS di TERZA GENERAZIONE

Sono Dedalus di terza generazione, seguo a J. Joyce e U. Eco.
Questo secondo battesimo non l’ho cercato come non ho cercato il primo. 
Il viaggio di formazione si.
Da questo ignoto sono posseduto come lo sono stati i miei due predecessori, salvando del mito la radice del cercatore che va verso la luce. Di questo recente passato ho riconosciuto a J. l’influenza che ha avuto su di me il suo giovane antieroe Stephan Dedalus nella condotta di un processo formativo attraverso l’opera del racconto della sua vita tra i Gesuiti. 
L’archivio dei documentari di poesia e lo studioDedalus sono stati il mio omaggio allo scrittore irlandese. Ho ricavato da un autoritratto fotografico un disegno da ex libris divenuto logo dei miei libri d’artista e ora mia icona poetica e grafica. Le mie esperienze di documentarista hanno avuto tra i diversi padrini anche il dublinese in quanto pioniere del cinema nella sua città già dal novecento.
Per U. Eco le ragioni sono più o meno quelle colte della sua biografia di studioso dei linguaggi e i loro incroci. E credo che l’intenzione di rendere omaggio, nei suoi anni di formazione, al padre dell’Ulysse sia evidente.
Le sue prime comparse in cui si è dichiarato con il nome Dedalus risalgono al 1958.
Il titolo è “Filosofia in versi”. Il sottotitolo: “Le divertenti strofe di Dedalus illustrano con precisione i maggiori sistemi filosofici”. La pagina è corredata da quattro riproduzioni di altrettante vignette prese dal testo; edizione Taylor, Torino.
È un giovane filosofo che scrive il testo mentre svolge il servizio militare e vuole conservare l’anonimato, a tratti ritenuto finanche quello di una donna. È sorprendente come la prima esperienza editoriale di Eco sia così simile alle edizioni di Alberto Casiraghi, non tanto per l’aspetto del manufatto quanto allo spirito ironico che vi è versato e la pari attenzione al contenuto storico del messaggio quanto alla scelta del modello di divulgazione. Segno che lo scrittore agli esordi avesse una umile, seppur sapiente, condotta verso l’esperienza della pubblicazione. Mostrando così, di far dialogare, fin dalle sue prime prove d’autore, la cultura classica con i nascenti segni della cultura di massa, quasi un’anticipazione della ricerca che condurrà per tutta la vita e ne distinguerà la cifra di pensatore. Per cui, a parte la passione più volte manifestata per l’opera di Joyce, non è certamente un caso che Umberto Eco abbia scelto come suo pseudonimo d’esordio il nome di Dedalus, che è un giovane ostinato e caparbio. Ciò che più colpisce nel suo credo è l’affermazione della libertà di pensiero, uno dei temi centrali nell’agire intellettuale.
U. Eco non è un autore che ho seguito da vicino neanche nei suoi momenti di gloria letteraria ma come sempre nella vita creativa le strade sotterranee poi trovano un loro momento d’incrocio inaspettato.
E colgo, con questa dedica a una collana l’opportunità di ringraziarlo per la curiosità e i nuovi strumenti di analisi che ci ha trasmesso con la sua “aperta” opera. 
La mia iscrizione a una genealogia di Dedalus sta nella condotta di quei cercatori, spinti sia dalla metafora del labirinto quanto quello del suo vincerlo con le ali della coscienza critica e della luce.

5 aprile 2019
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Dedalus e Lucy

IL SORVEGLIANTE DEL NUOVO MONDO - Commiati dalle POESIEdiTRANSITO

 Non vi sorprenda se affermo che di questa narrazioni il mio primo destinatario è stato fb.
Chi poi ci sia dietro il diplay con il compito di lettore proprio non saprei. Lo paragonerei a metà il controllore doganale del Troisi- Benigni in “Non ci resta che piangere” per l'altra metà un Faust o un Borges alle prese delle origini della narrazione. A voi l'esercizio di tracciarne un profilo.
Mi sono accorto che questo viaggio nella rete non l'ho fatto da solo. Ho incrociato l'attenzione di chi mi conosceva, amici di vecchia data e più recenti, collaboratori, studenti-stagisti degli anni passati e in corso, nuovi conoscenti, perfetti sconosciuti incuriositi, potenzialmente coinvolgibili o su altre frequenze di idee e di vissuto, biografie e identità proposte da fb.
E così dedico l'epilogo ai materiali che alcuni, Luciano Caruso, Enrico Bugli. Giorgio Moio, Giorgio Zanchetti, Raffaela Costagliola e altri che potrete leggere nel post, hanno avuto il desiderio di scrivere su questa opera inclassificabile. Qualcuno in questi mesi ha raccolto i miei dubbi e le mie riflessioni condividendo lo spirito un poco epistolare della narrazione.
Il mio intento era raccontare un'esperienza di contatto e di rete di qualche anno fa, quando ancora si “andava a piedi”, un viaggio sulle orme dei miei antenati hominidi e homo sapiens lungo la catena dello stesso gene?


Prolegomeni per uno scritto sulle PoesieDiTransito di Vincenzo Pezzella
Archivio Dedalus Edizioni (Milano 2011)
Quando un intellettuale, di cuore puro e occhio vivace, che ha dato prova con scritti, grafici e canzoni del suo essere al mondo, che da poeta scrive libretti di opere coinvolgendo persino Monteverdi e da pictor optimus illustra testi difficili, lasciando che i suoi interessi creativi vadano dagli zingari alle imprese di Joyce, fino a un celebrato fabbricante di violini e oltre, che viaggi avvolto ed incatramato nell'essere e fare poesia nelle ore morte, e che si perda nel mondo del fare, significa che magari a nostra insaputa, esiste ancora qualcuno che crede che fare arte sia tuttora un'attività dell'intelletto.
Questo poeta, in modo prosaico, a torto del suo intelletto aristocratico, si sposta in metropolitana, un mezzo grigio, anonimo e pieno di anonimi volti di anonimi. Il metrò è un mezzo triste nella sua essenza, pratico al più per inseguire spie e delinquenti nei film di serie B, ma nel comune ideale borghese è poco indicato sia a sentire, che ad ispirare poesia. Certamente questo convoglio appare prosaico e infine banale. Nessuna metropolitana o traforo che sia, che io sappia, ha potuto, è stato finora capace di ispirare poesie o addirittura di coinvolgere poeti.
​Così potrebbe essere, altrettanto accettabile, per noi semplici appiedati, che questi possa usare tappeti volanti, ippogrifi, navi fantasma, velieri corsari e quant'altro possa servire ad una estroversa libido poetica in espansione.
Che re, conquistatori, esploratori e navigatori nei viaggi quasi mitici e molto lunghi nel tempo, avessero coinvolto scrittori e poeti è cosa certa, ma che questi letterati fossero andati oltre la  cronaca, pubblicando poesie su ciò che la loro libidine fantastica aveva fatto affiorare durante i tempi morti del viaggio, è incerto.

Dei diversi modi di viaggiare
Il viaggio dalle ere più remote della storia è stato sempre tra le attività maggiormente "promozionali" della Poesia.
Forse nessuno lo ha mai detto, ma esistono nella logica del fenomeno una serie di nodi e motivazioni profonde che lo hanno innescato, oltre che mezzi diversi e sempre più vari e spesso più che idonei per farlo...
Un viaggio poetico può essere fatto a piedi, a dorso di un animale, su slitta semmai; inoltre si rendono adatte le piroghe, talora le zattere, ancor più carri e navi, che, si dirà, sono fatte apposta per questo; risalendo la storia anche i palloni e i dirigibili e financo le palle di cannone, come i tappeti, si sono rivelati adatti allo scopo, ma puranco, il treno, l'aereo e addirittura i razzi, oggi sono da considerarsi mezzi più o meno ordinari per lo sviluppo di poetiche future.
II viaggio può essere ipotetico e ancor più fantastico, si vedano quelli letterari di Luciano, del barone di Münchausen, di Astolfo e di Conrad e talora, possono anche essere romantico-sacrificali come quello del prode Rudello, o mitici come quelli di Ulisse e ancora mistico filosofici come la Commedia, possono comparire e addirittura perdersi nella realtà come i resoconti di Rustichello,Pigafetta, Goethe e Stanley.

In Pezzella la realtà del viaggio in sé, non viene definita né, dalla quantità dello spazio, né dalle quartine o dagli endecasillabi. I metri, i chilometri, le altre misure di grandezza furono codificati a favore di quella griglia aristotelica che permette all’uomo di riconoscersi nella realtà della logica e definire questo mondo; che in effetti, non esiste se non che come immagine virtuale della mente stessa; che in questo caso, ci permette la gestione ed il riconoscimento dell'esistente. Per tanto, le misure del tempo, dello spazio, le teorie matematiche e quelle della relativa velocità dell'universo, come la stessa realtà fisica di questo mondo, sono un'invenzione di comodo, una delle nicchie di questo microfrattale (il nostro) del grande frattale dell'universo e di tutti gli altri insiemi di frattali che forse costituiscono l'infinito, sono arbitrarie e fortemente dubitabili e questo giova in modo esponenziale a questo poeta che può creare un universo altro fatto di simboli ed icone a veder bene nuove, e di questo credo di intuire che Pezzella sia profondamente convinto.
Come già ho detto un viaggio, corrisponde a uno spostamento, talvolta anche al di fuori della sua utilità logica, i motivi possono essere diversi. Sono da considerare come ragioni di viaggio sia lo spostarsi da una sedia all'altra, sia andare dalla tundra al mar Nero per la caccia del mammut o avendone in pectore la distruzione, verso Troia, oppure passare i ghiacci delle Alpi a motivo di combattere i romani o di sottomettere i Galli e financo attraversare la strada per guardare una vetrina; insomma, la stessa storia della nostra specie è fatta di viaggi, anche letterari verso il chi sa dove, "il paese degli eccetera"! Forse (1) come dice Verlaine...

Della metropolitana nata per spostarsi proletariamente e senza impacci nella città "... canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano »(2)

Con questo convoglio Pezzella ci proietta nella vicenda che affanna l'uomo moderno, che assomma in modo inquietante una sconvolgente reiterazione di gesti tanto più coinvolgenti e convulsi quanto più il viaggio può essere breve.
Milioni di persone vivono, nel miracolo del progresso, tempi morti; quelli dell'attesa in stazione e del percorso, che addizionati tra loro, sono quantificabili nella vita di un uomo, in ore mesi e  addirittura in anni. Durante questi lunghi periodi di inattività, nessuno riesce anche a pensare, il pensiero è un lusso di sé bizzarro, pochissimi possono esercitare una fantasia tanto libera da poter elaborare il pensiero poetico in modo da stravolgere la noia irritante di un’attesa:

occhi...occhi-ti-perdono
..sul-finestrino-del-trenointransito
la-tua-ombra-confusa-al-paesaggio..
...
tutto-s'incrocia-nel-violadifotogrammi
accesi (3)
[...]
​
da POESIADITRANSITO-FUGHE... (16c.San.Babila20.1.95 Vincenzo Pezzella)

ai versi di Saffo

Eros ha scosso la mia mente
come il vento che gioca
sulla montagna
si frange sulle querce
Il risultato. (4)

​
Credo realmente che per Pezzella "La poesia è un fare del tutto mentale, sottolinea il movimento fisico del Transitare fra un istante e l'altro della nostra vita, fra un treno e l'altro, fra una attesa e una partenza del tutto indifferente, tutta la nostra vita rappresenta un viaggio con partenza e arrivo e nello svolgimento compaiono infiniti viaggi che si intrecciano tra loro, col nostro esistente, e con quello degli altri, ciò è quello che accade in modo concentrato e intenso, nell'indifferenza dei protagonisti all'interno delle strutture di una metropolitana".
Ora, per dire le ragioni della poesia, siamo costretti, bisogna, che si diventi a nostra volta poeti per sognare ciò che l'altro, "il poeta" appunto ci canta, in questo caso è dato di notare e connotare quelle intriganti sensazioni, che in un altrove temporale si sarebbero forse vissute su sanguinosi campi di battaglia e nelle dolorose e anch'esse sanguinose processioni del medioevo, con ottave o endecasillabi, come all'epoca si usava. Oggi le "intriganti sensazioni" non sono che visioni effimere che i finestrini delle vetture nel transito veloce del veicolo proiettano come immagini larvali su chi è in attesa dell'altro treno in banchina.

Note:
1 Da un verso di Verlaine che cito a memoria: "domani all'alba partiremo in carrozza per il paese degli eccetera"
2 Filippo Tommaso Marinetti, da Manifesto del Futurismo - anche Marinetti era sensibile alle stazioni ferroviarie
3 Vincenzo Pezzella
4 Saffo Fr,47
5 Luciano Caruso - Note di un commiato - Poesie di Transito - Ed. Archivio Dedalus.



​La Poesia del nostro mondo si era retta su una costruzione musicale, il martellare del fabbro ha dato ritmo al futuro. Il Poeta in quella rigida griglia inseriva la musica del suo pensiero, in effetti tutte le costruzioni della mente sono delle ancore cui si attacca la "ragione". Le matematiche dell'intelletto non sono altro che l'estensione di griglie di comodo nelle quali esercitare la conoscenza dell'universo.
Nelle stazioni della metropolitana di Milano esistono dei marchingegni mediante i quali con piccola spesa è possibile stampare a proprio piacimento una cinquantina di biglietti da visita o inviti o quant'altro sia possibile stampare con caratteri a scelta su cartoncini secondo modelli preordinati.
Diventa importante per il poeta che vive il presente, definire la "machina" che incastella il generato della poesia. La struttura della "Poesia" non è il modello che la costruisce?
Tutte le cose inerenti il fare, fin dai tempi più antichi, furono incasellate e anche la poesia ebbe le sue regole. Il verso ebbe, i suoi accenti, la sua musica, e la composizione poetica i suoi schemi che, non è una novità, furono tralasciati dal secolo scorso. Fin dal medioevo (6) però "Il poeta" aveva compreso, che nel momento in cui la poesia passa dalla fase orale a quella scritta, l'occhio acquista una parte notevole nella sua appercezione, da ciò si introita che la poesia scritta, quella che si legge, non è fatta solo della musicalità "sonora" del verso, ma anche di ciò che attraverso l'occhio appare iconicamente alla mente come cosa che fa parte appunto del mondo della visione. Che nel grigiore anonimo di una metropolitana, un poeta, un esteta, possa trovare il modo di poetare, e di poetare a fronte di un oggetto anonimo e postmoderno come un biglietto da visita preordinato (7) è cosa fattibile; oltre, c'è lo scatto di Pezzella. Se la poesia può nutrirsi delle gesta di un cavaliere errante, anche i cartoncini schematizzati uso selfie, svolgono analoga funzione, ove servano a costruire e a pretestare lo strumento stesso della poesia. La solitudine di una metropolitana qualunque, può valere quella di un passero solitario.
Il rombo del treno, il vocio sommesso della folla, suggeriscono quelle allitterazioni che hanno suggestionato non solo i futuristi, ma a guardare, anche D'Annunzio, che notoriamente professava altre idee:

Seigneur!
- Bien aimé!
Seigneur!
- Bien aimé !
- Bien Aimé
 (8)

Fa riscontro: [...]
pensavi..rognonecipolla
a-cena-con-TITANO-tra-i-libri..
mentre-da-un-cieloargentoufo-filtravano-[...] 

da PoesiaditransitoRipa47 (cop15/18.10.96PortaGenovaF.S.Ripa)

Parole che in una scrittura rapida non diventano altro che cascate di simboli, grafemi appunto che incartano le immagini, ma non è tutto, Pezzella riesce ad esplicare una sensibilità introspettiva che assorbe la considerazione del presente pescando nei meandri di una fantasia lattiginosa, e riesce a trovarvi il qualcosa della poesia. Si affaccia, spesso insistente e perversa, un’ironia criptica e sottile, frutto certo di cultura profonda e fruttuose meditazioni.
Relativamente all'esternazione delle idee-immagini, il suo compitare sposa sommessamente l'aspirazione di "fare poco non per molti" come Gòngora manifestava, all'uopo Pezzella dice la sua

Note:
6 Si Veda -Luciano Caruso - "Iuvenilia loeti" raccolta di poeti latini medievali - Lerici 1969
7 Il limite di un biglietto da visita, su schemi predisposti e modesti, previsti per chi aspira con i dozzinali cartoncini dei biglietti da visita a una collocazione promozional-borghese.
8 D'Annunzio - da " La quatrieme mansion" in "Le martyre de Sait Sebastien" - Che nell'edizione del Vittoriale è proprio nella veste che riporto , D'annunzio sapeva bene che la qualità e la disposizione dei caratteri tipografici a teatro, in un opera recitata, non si possono vedere. I motivi sono altri e certamente questa scelta tipograficamente molto efficace, andava a coloro che avrebbero letto e non ascoltato il testo.
Indicando ai posteri, con la solita macchinetta serial/dozzinale presente in ogni stazione, il pensiero
della nostra attualità: [...]


AlbanesiMagherbini - mareediPantelleria-zatterenaufragano-nudi
lorobranco/ma-io-inqualebranco
sono../cop.15/2.1.97Sgea-S.Babila
con i versi
E scortica le mie midolla
il raschio ferrigno del tram
Silenzio - un gesto fulmineo
Ha generato una pioggia di stelle (9)

​
Nel metrò l'astrazione si riversa nel sogno e provoca pulsioni che possono essere tenaci e straordinarie a seconda della capacità di abbandonarsi e vivere senza altro freno, quello che la cultura ha iniettato nella fantasia; così il ragioniere vivrà la possibilità di stilare l'ultimo bilancio della Banca d'Italia, l'avvocato sognerà di perorare la causa delle anguille ladre nel tribunale delle stelle, la massaia di manipolare l'ultimo risotto con contorno di nuvole e pioggia, al letterato resterà l'idea di un ricordo pensato, che elaborerà a memoria sul tavolino di casa. Ecco che a disposizione dell'impulso creativo e della pulsione che provoca, in un angolo, come per incantamento compare la macchinetta dei biglietti da visita, così una creatività eccitata dal limite del mezzo, potrà fermare subito e freschissime, come per gioco, tutte le immagini e i ricordi, ancora intatti, vivi e non mediati, dal tempo. Le parole giuste, le immagini e i simboli si incaselleranno taglienti nello spazio del cartoncino definito dalla tastiera; in pochi minuti l'idea diventa e si trasforma per gli eletti, in un oggetto tangibile. Non è importante che sia in poche copie, la poesia è per pochi, per pochissimi, forse solo per se stessi, meglio per nessuno.
"Compresi che il lavoro del poeta non consisteva nella poesia, ma nell'invenzione di ragioni perché
la poesia fosse ammirevole" 
(10) - da questo assunto viene che la poesia non può ne deve avere spiegazioni ascrivibili a nulla che sia sul gradino assoluto della ragione, essa certamente si rivolge a sistemi più profondi ed antichi potremmo dire ancestrali, nonostante che questo termine abbia una logica abusata. Pezzella, con carognesca e cinica determinazione, pescando lucidamente nei meandri della mente collettiva, che giocoforza conserva anche le ossa, usurate dei padri futuristi, non esita anzi si appropria con sadica allegria, per scopi eletti ma anche e perché no! decorativi, dei brandelli di quelle immagini che sono, vestigia da vedere o meglio per ricordare l'immaginario occidentale. Un gioco crudele e giocoso, che si appropria e diventa l'immagine nella quale nascondere il senso criptico e più vero della poesia.
Mi piace concludere questo "transito" con le parole liriche e seriose di Rolando Bellini: "In lui si condensa tutta un esperienza underground, con frammentarie reminiscenze newyorchesi, con evocative schegge del respiro del "tube" londinese nel quale si era rifugiato più di un artista durante l'ultimo conflitto... della freschezza della gioventù rock che oggi abita, a sprazzi, queste cavità affollate, dell'allegria napoletana di poveri senza paura della pioggia".
​

Enrico Bugli
Napoli, 20/11/17

​Note:
​9 Da "poesia poesia" di Dino Campana
10 Borges - L'aleph - edizioni UEF


4 aprile 2019
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Dedalus e Lucy

SENZA TITOLI - POESIEdiTRANSITO 1994-1999

​Fb per questo post prendo alla lettera il tuo portale delle amicizie. Invio questa ultima puntata dell'auto-biografia letteraria sulle PoesiediTransito a tutti i presenti nella mia rete. Un dialogo con il caso che dalla vita non possiamo escludere, anzi è il fondamento del nostro viaggio.
Io sono un epigono, la mia lingua madre non è neanche l'italiano ma il napoletano. Mi sono trovato per condizioni storiche sul palato una lingua ridotta a frammenti di una vita quotidiana frammentaria, già Joyce ne coglieva la fine agli inizi del secolo scorso. Ho voluto scrivere come il nostro antenato delle pietre e dei graffiti, l'ho solo fatto con una macchina a elettroni, in quest'azione mi soffiavano nelle orecchie e nel cervello Baudelaire e Rimbaud, poi avevo si, un cuore italiano; “sempre caro mi fu quest'ermo colle” che il mio orizzonte non aveva, non poteva avere, perché non c'era più un orizzonte geografico ma cosmico.
I miei occhi in questo vagare come le onde radio, gli infrarossi, il carico strumentale dei satelliti lanciati verso buchi neri e danze mortali di galassie. Si, è vero sono caduto in quella presunzione di poter portare un testimone del nostro inciampare della e nella nostra storia: sempre tesa tra vanità e conservazione. Ma tutto questo perché ci risvegliamo dall'essere stati gettati nel mondo con un senso di assenza come votati all'unico compito e senso che è ”Oltre la sfera che più larga gira, passa 'l sospiro ch'esce del mio core”.
La sua funzione di memoria di una contabilità non può essere scissa dall'azione che ne codifica la procedura e perciò dall'iscrizione di un confine, una norma, un contesto rituale, in un certo senso una prima vittoria sugli dèi e su qualunque altra divinità; in questo la prima conquista dell'encefalo dell'homo appunto sapiens. Ma come Platone già aveva intuito: la narrazione, in quanto scrittura, aveva un suo lato oscuro o potremmo dire speculare e cioè avrebbe aperto il vaso delle interpretazioni, in un certo senso dato ragione ai sofisti, sarebbe potuto diventare un balbettare. E si, così è la mia balbuzie in quest'opera che scorre ai milioni di minuti della vita, metafora cara a Giancarlo Majorino. Io sono “homo sanza lettere” il mio inciampo del nel linguaggio è quel sasso lanciato nell'acqua di uno stagno dal Vinciano e dal De Dominicis, le traslazioni di Ketty la Rocca, i moduli di Di Bello, o più semplicemente quegli stampini che uscivano dalle cicche rosa che si timbravano su un album di figurine. 
​No, sono troppo giovane per la stagione dei “Visivi” che credo tramontata per sempre come i pittori dilettanti che imitano l'impressionismo e la pittura in plein air senza comprenderla. Io sono un disperso senza cultura con l'unica tradizione ancora possibile quella di essere di questa specie, almeno sembra. Non sono un contadino, non sono un operaio ma non sono neanche un intellettuale che in questo sistema non serve.
Sono come quella scavatrice pasoliniana che raspando trova solo macerie, anzi neanche più le macerie che sono state anche quelle seppellite dall'ingorgo del nostro tempo, dalle plastiche, dai rifiuti della cloaca in cui siamo caduti. Come lontano è il tempo dei ragazzi di PortoVenere e anche quello di Denver, Tangeri e di “Urlo”. Ora i reali venderanno una linea di smartphone per confondersi e resistere nell'omologazione del capitalismo; forse che il tempo dell'uomo si è fermato a Ettore e Achille? Ma se noi non siamo neanche quella speranza di Gilgamesh di diventare “dèi”, chi siamo?
Il delirio di Molly che conferma Calderon de la Barca e la ruota eterna delle campane che tutto è sogno?
Nessuno di noi comincia qualcosa, perché quel qualcosa è da sempre e non va in nessun luogo né fine. Eppure noi non possiamo rinunciare a quell'attesa della notizia, anche questa fosse “la cavalla storna” di memoria scolastica con un messaggio di tragedia e sofferenza; perché quella sofferenza siamo destinati o condannati a raccontarla. Metterla sulla scena del mondo e delle nostre debolezze, farne un momento di condivisione come nel teatro i Greci. Mi piaceva tirare al bersaglio al luna Park quando, come il giovane Holden, ancora ci andavo, nella ciurma della nostra infanzia, vagando per le strade e le marine, ma ci andavamo per le ragazze che ci sollecitavano a spendere quelle poche monete guadagnate con un posteggio o “a strisc a 'muro” con un sorriso così solare come solo le ragazze Rom sapevano mostrare. Età pascoliana e dell' “Angel” tramontata per sempre come quei libri di lettura per l'estate, scadenti di aspetto e di contenuto, che andavo a ritirare in sede di un improbabile distributore, nei pressi dello stadio San Paolo a Fuorigrotta, dove giocavamo a calcio e il volume finiva utile lì a segnare il palo di una porta e la sua rete.

31 marzo 2019
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Dedalus e Lucy

​​LE PAROLE COME TELOMERI

Ciao fb e amici che mi leggete; mi sono rimaste 4 puntate di quest'autobiografia sull'opera “PoesiediTransito 1994-1999”. Vado a continuare.

Scrivere, scrivere, come dipanare le sementi o seguire la corrente di un rivo, è l'attorcigliata catena genetica di un tempo litico così mi viene in mente il pennino di Luciano Caruso che verga ogni oggetto trasformandolo in reperto; è da quel testimone arcaico, che non potevo più usare, il filo del mio travaso su nastro nero e laser una scrittura più vicina al liquido dei bit, un dialogo con i telomeri che resistono quanto le parole a voler dire qualcosa, a voler essere qualcosa, a voler conservare qualcosa. Il paesaggio urbano mi offriva nuovi strumenti e contatti che la mano avrebbe potuto imbrigliare nel suo distendersi nel suo aprirsi e fluttuare, richiudersi e separare; una macchina con una camera ottica interna come il corpo nero di Planck, le vergini di Balthus o l' étant donnés di Duchamp. E sopra di me la volta celeste con i suoi occhi seducenti, da una rete a un'altra rete come la pioggia d'oro di Danae che mi ritrovo nelle narrazioni dei Talent's, oramai planetari, americano, asiatico, australiano, britannico e così via il canto sul palcoscenico del mondo premiato con “golden buzzer” e lacrime.

Mi ritorna in mente “...bella come sei”, l'oro dell'estate napoletana, il celeste e l'azzurro che ho usato per le mie prime opere; dove avevo comprato un lungo rotolo di tela a metro mi proposero un'offerta di grossi barattoli di azzurro, e così li presi, “dipingerò l'azzurro” mi dissi.
Anche la pittura è come se l'avessi scritta; in quegli anni, avevo riportato il graffito a immagine del discorso, e con la scrittura il verso a essere immagine di se stesso; un calligramme a puntate ma senza mai fine. Non ho cercato la tecnica del rinascimento che credo serva al restauro ma di percepire per osmosi e un poco anche alambicco la tecnica del mio tempo, quei modi e quei temi che certo non potevano essere presenti nell'uomo medievale né tanto meno rinascimentale. A ogni tempo il suo vocabolario e la sua sfida.

Di quale lingua stiamo parlando? Quella dei siciliani di Federico, quella di Dante o Petrarca, Leopardi o Manzoni, Ungaretti, Montale, D'annunzio, Bertolucci, Pasolini, Zanzotto, Sanguineti?

La lingua scritta è sempre formale proprio perché deve tradursi in una forma; il suo algoritmo è anche visivo; una proprietà della scrittura che è molto più esplicita e consapevole nelle culture cine-giapponese. Lo scrittore non agisce mai solo con la proprietà del tempo ma anche con una coordinata dello spazio, alcuni disponendo gli appunti e i fogli di bozze in modo molto personale in posizione mappale o grafico-visivo, e anche i doppi tavoli di scrittura possono suggerirne la pratica come lo era per Italo Calvino. In qualche modo il supporto e i suoi limiti ne costituiscono anche il respiro. La musicalità finisce comunque per essere intrinseca al testo alla sua freccia di lettura. Ora noi non ci facciamo più caso perché con i display dei computer prima e con quelli dello smartphone poi siamo abituati a uno scorrimento linguistico senza precedenti; i futuristi sarebbero impazziti di entusiasmo. In fondo con le loro esperienze un po' tali risultati odierni li hanno anticipati. La scrittura è molto vicina all'astrazione matematica ai sistemi formali della logica, tanto che è successiva alla pittografia. La scrittura è la prima equazione della mente è un processo di riduzione dei fenomeni del reale a una sua sintesi immaginaria. Ecco perché la scrittura è la leva tecnologica più avanzata, e sono, i minoici prima e i greci poi, ad aver posto i fondamenti della civiltà della tecnica e quindi del pensiero dialettico. Ma la scrittura è anche il primo atto di separazione io-mondo, è l'auto-referenzialità della psiche che si nomina, il suo lapsus verbale. La lingua scritta è destinata a semplificarsi ulteriormente per tendere sempre più verso la matematica, il linguaggio formale delle costanti e delle emozioni. Certi contenuti nuovi si possono scrivere solo modificando la lingua e alternandone i suoi paradigmi, smontandola e ricostruendola come i mattoncini di un lego.

29 marzo 2019
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Dedalus e Lucy

Le POESIEDITRANSITO e la doppia CC (...arancia, limone e fragola...1,2,3, stella!...) 

La parola è il nostro lasciapassare.
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Non sono i piedi che ci portano ma la lingua: la parola. Per noi è lo spartiacque tra l'essere e il non essere. La nostra convinzione d'esistenza passa per un atto simbolico proiettato in un tempo-spazio che è una bolla che fluttua nel vuoto. La parola ci attraversa e con essa ci attraversiamo; la nostra condizione è il transito, non solo perché la nostra meta è sempre più in là dell'orizzonte ma perché la parola è essa stessa transito, nella sua radice è il transitare di una proprietà reale a una “proprietà” simbolica, appunto il linguaggio.
Che sia di struttura fine che sia gravitazionale o anche di altre costanti, la principale, unificante, convergenti e convergente in una unica transizione di fase o condizione, ci sembra poter dire che C come contatto ne soddisfi la risposta: a dove siamo, come e perché. In questa costante apparentemente non matematica c'è la radice della nostra parola e mi piace pensare che questa sia intrecciata alla necessità delle altre, alla loro variabilità spazio-temporale come nella biologia di un fiore “l'energia che spinge la vita dal calamo alla corolla” nei magnifici versi di Dylan Thomas.
E se le costanti sono un lasciapassare, allora perché escludere che questo lasciapassare appartenga anche all'immaginario che si modella in una sua complessità organica, il cui vertice è la parola: nominare se stessa?
Con essa indaghiamo le costanti dell'universo, della natura e creiamo nuovi universi seppur immaginari e confinati nel nostro tempo-spazio; gli diamo una fluttuazione, un canto. Accogliamo così come prima azione, degna di essere cantata, la principale costante: il contatto. E la parola ci porta per mano o per meglio dire diviene il nostro soffio. Il mantra nel quale sintonizziamo la biologia del battito cardiaco e delle sinapsi neuronali accendendo il contatto in una osmosi quasi inavvertibile eppur presente e profonda come quando ci si immette nel salto alla fune in un gioco già avviato: “arancia, limone e fragola: 1, 2 e 3 stella!”. Che ci possono essere altre costanti, appena variate, in cui non sia sorta la catena che ci ha portato a disegnare col gesso sul selciato le caselle del Mondo, è per noi, certamente, un vuoto di senso, un doppio vuoto rispetto a quello quantico della fluttuazione che qui ci ha dato la parola e con essa la meraviglia, non credete?
Nella parola nasciamo, per quanto sia non articolata, onomatopeica, e con la parola in gola ritrasformata in soffio moriamo; nel mezzo i “Passages” in cui si schierano sulla scena i protagonisti della nostra “Commedia” sia dantesca che felliniana, quel volto che stentiamo a riconoscere nelle vicende del quotidiano, quando il tempo solca le sue misure imponendoci la partita all'orizzonte del nostro viaggio come nel settimo sigillo bergmaniano. 
Nel mio viaggio i passages erano gli strumenti di transito e non le merci, il paesaggio più un'assenza che una presenza; eppure ritorno a questo tema dei frammenti proprio in questi mesi con disegni per un libro su Benjamin, non dimenticando neanche l'Angelus Novus che ho disegnato e riproposto in una ambigua età. L'assenza petrarchesca che ereditiamo non è solo del volto che la parola può far rivivere ma anche del paesaggio, perché nel paesaggio e nei suoi gironi si è consumata la nostra speranza e con essa la nostra vita. Faticavo riconoscerlo, quel paesaggio intorno a me, quando scrivevo, ne percepivo l'alienazione e il distacco; le contraddizioni pasoliniane della cultura contadina nell'urbanizzazione non lasciavano più tracce già dagli anni ottanta. Ero un disperso, come avrebbe detto non solo di se stesso Maurizio Cucchi; ciononostante delimitiamo i territori come cani, anche Dino Campana e Ungaretti, Zanzotto lo sottolineano; ci trasformiamo nel paesaggio.
​E' il rito di ringraziamento che ci portiamo dalla notte dei tempi nel codice del nostro peregrinare o piuttosto graziati da un dio, come Bauci, Filemone e la più nota Dafne?

25 marzo 2019
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Dedalus e Lucy

POESIEDITRANSITO: Il Canzoniere di una costante matematica.

​L'esplorazione è il nostro destino, se non fosse così saremmo rimasti nelle caverne, o nel confine di un territorio come le altre specie. Il neaderthaliano, il sapiens e il denisoviano, tutti volevano andare da qualche parte; ma perché vogliamo sempre andare da qualche parte?
Non ci basta mai dove siamo?
E l'ignoto il nostro destino?
Abbiamo puntato già al cielo quando avevamo i piedi nel fango ed eravamo più simili a un albero che a un uccello, tanto meno a un aeroplano e non se ne parla a un astronave o satellite.
Eppure il cielo è buio, muto, in un certo senso meno colonizzabile; ma ci attira che cosa?
La conoscenza di che cosa? Il bisogno, l'anelito di quale contatto? Ecco la parola magica della nostra sete di esplorazione: il contatto. Nessuna creatura può vivere senza contatto. Il contatto è il motore dell'esplorazione, e questo non si estingue mai, non si sazia mai, sembra di no; è la nostra condanna? Tutta la nostra vita è cercare contatto, contatti, aspettarli, sperarli. Possiamo dire che è una costante con una sua matematica che per ora non sappiamo decifrare. Per confermarmi quanto vado scrivendo, Acqua, la mia gatta mi salta sul tavolo miagolando nel suo alfabeto la richiesta di una carezza, così senza particolare fine pratico, cibo, acqua o altro. In questo portiamo qualcosa che è più grande di noi è più grande della nostra intelligenza e della nostra volontà. I linguaggi non sono che strumenti di contatto, l'arte e le scienze lo stesso. Ma se nulla basta una volta per sempre, ciò vuol dire, nella ricerca, che siamo condannati a morire tante volte.
Nella esplorazione infinita noi restiamo chi eravamo in partenza? Se ciò fosse vero non avremmo bisogno di tutto questo dispendio d'energia, di questo affannarsi di vanità, non credete?
Un viaggio in Italia è anche un viaggio della scrittura è una canzone all'Italia; un canzoniere.
Una parola che amo molto, dalle rime petrarchesche a quelle leopardiane e di Saba.
E sì, Emilio Isgrò aveva colto nel segno fin dalla prima lettura dei cartoncini scritti in metropolitana. Raccolgo qui in due o tre post, vediamo fb quante immagini mi carica delle trecento circa, tra poesie, mappe e foto, e completo così la seconda parte di quest'autobiografia in rete.

Continuo a viaggiare: amici di fb, ciascuna foto di voi è un luogo; in alcuni ci sono stato in altri no e neanche ci siamo incontrati, né passato assieme il pomeriggio. Viviamo di un viaggio comune che è quell'esplorazione di cui parlavo nell'apertura, questo contatto che ci spinge costantemente a quel gran dubbio, che sapientemente Kubrik in 2001 Odissea nello spazio o Tarkovskij in Solaris e anche in Contact di Zameckis, hanno saputo sospendere nella loro narrazione, e cioè se al termine del viaggio finiamo per, sorprendentemente, ritrovare noi stessi, rincontrandoci!
Ma allora non sono i luoghi che cerchiamo, quanto la memoria di noi stessi, riemergendo da quell'annegamento che il tempo della vita e forse anche della storia ci ha costretto a subire. Ilia, Narciso ed Eco, una triade che ci tiene sorretto su un guanciale comune, il riposo che possiamo immaginare nel rumore della vita. E la piazzetta di una contrada è uguale al metrò di una metropoli, quanto il lungomare di una città è uguale al sentiero di un paesaggio di campagna; in ognuno battiamo il capo con la domanda: chi ci viene incontro?
Ce lo chiediamo pur avendo la vita piena di cose da fare, ma nessuna di esse ci soddisfa pienamente?
Forse perché, noi, ci siamo in realtà separati dalla vita? E come se l'aspettassimo? L'aspettassimo sempre? E così le parole? Esemplare quella battuta che Antonioni mette in bocca al suo personaggio femminile dei racconti di provincia “Sopra le nuvole”: “una donna le parole le aspetta, le aspetta sempre”. E qui è la vita che aspetta, noi nominiamo il mondo sia per perderci che per ritrovarci come in uno specchio. E in un certo senso ritrovarne anche l'illusione, è come quando guardate dalla finestra muovere dal vento il bucato al vostro orizzonte; vi prende la nostalgia e dite: ah, ecco il tempo!
​No non sappiamo più vivere nel recinto della nostra classificazione, se questa c'è mai stata e se un recinto c'è mai stato. Con le narrazioni religiose ne abbiamo immaginati, e questa immaginazione ci ha dato tanto la grotta di Lascaux che la Cappella Sistina.

17 marzo 2019
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Dedalus e Lucy

​POESIEdiTRANSITO
Un manifesto poetico per un solo autore e miliardi di consumatori.

Grazie fb mi chiedi più cose di quanto io te ne possa scrivere, un post al giorno è difficile; c'è la vita: il mercato, cucinare, gli incontri, la figlia, l'arte, intanto continuo quest'autobiografia in forma di commento al passato, e provo a raccontare un'esperienza.
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POESIEdiTRANSITO: un manifesto poetico per un solo autore e miliardi di consumatori
​Delle PoesieDiTransito ci sono tre scatole-multipli che raccolgono i self-card (cartoncini) del Canzoniere dal 1994 al 1999: la scatola zincata, la scatola mandorlata, la scatolafaro.
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Mentre sbuccio le mele per una crostata penso a tutta la poesia che è stata scritta, a quella che resterà e a quella che non resterà perché mai nato il suo dire. La parola che si perde nella scrittura, ecco, per certi versi lo spartiacque della nostra civiltà che trasforma il soffio della parola, il suo suono in segno e tecnologia, in codice di scrittura e di significante; Socrate ne avvertiva il rischio, l'indebolimento e anche il travisamento, la corruzione possibile, quando viene separata dal suo organismo vivente e perciò critico: aprendo, con il testo della scrittura, così, al tramonto della verità assoluta, la parola del dire orale, l'unica che ci darà misura e sapienza perché sperimentata nel tempo, qui ed ora. E non è, forse, questo il tempo della verità e del bene, del giusto, e oggi, nella nostra visione etica, è anche quello dell'amore?
Quali scatole possono sostituire queste tre da quelle di una lontana infanzia: la scatola delle figurine, la scatola delle biglie di vetro, la scatola dei chiodi e del sughero con il filo di nailon per la pesca; contenitori di biscotti bucaneve in latta o il cartone della colomba, per custodire ricchezze, per giocare con il tempo alla sua misura, e cioè dare un valore simbolico alle cose, agli oggetti che non ce l'hanno, o ce l'hanno solo per noi come “Rosabelle”; e ci accompagnano per quel salto che dovremo fare a conclusione della giovinezza, rinunciando all'utopia ch'era nel nostro sangue, nel nostro respiro quotidiano, a dover essere come gli “adulti” senza speranze, senza sogni, mentre queste raccolte dell'immaginazione ci fanno crescere e guai se non ci fossero.
Un manifesto si scrive perché altri aderiscano, compiendo le stesse azioni o simili e incitando parole comuni, lo stesso progetto di vita, scardinando vecchi paradigma, aspirando a orizzonti da condividere. Ma se questo si scrive al tramonto di un'esperienza, coloro che si risveglieranno in un'alba nuova porteranno con sé quelle parole “nuove e d'azione” inconsapevolmente?
​E questo perché il paesaggio tecnologico del quotidiano ne ha assorbito e assimilato i contenuti e finanche le forme e gli strumenti. Ho cercato scatole che potessero conservare alfabeti di magiche esplorazioni, narrazioni immediate e anche stratificate. Mi accorgo che il mio vagabondare ha una radice antica; per me è seguire una mappa che non vedo né conosco ma che esploro, questa si stende poco alla volta ogni volta che stendo la gamba e allungo il passo, e prendo la direzione, la terra mi cresce sotto come una radice che spunta, germoglia, si radica, si espone, all'aria, alla luce; è una mappa emozionale, una geografia che ho nel sangue, mi governa come l'energia oscura del cosmo in un accelerazione che cresce. E così ho imparato che per ogni viaggio si va da soli, perché ogni viaggio contiene il viaggio della propria vita e del proprio destino: noi siamo “gettati” alla consapevolezza di non poter più tornare indietro.
E da adulti, seppur abbiamo rinunciato all'utopia ai sogni dell'infanzia, noi tutti ancora le cerchiamo queste custodie improvvisate e improbabili. Avvertiamo che raccoglierle dal loro destino obbligato, sottrarle ai rifiuti è il nostro modo per sentire un'appartenenza, per tessere una comune sinapsi, una mitosi, un campo scalare d'energia.
Mi frulla per la testa il binomio eccitazione-appagamento, il sistema chiuso delle nostre esperienze, come ne parlavo con Veronica che segue con me fb in questo periodo. E su questa condotta che fondiamo la nostra esplorazione in qualunque mondo e a qualunque età se teniamo in vita il cervello e alimentiamo tutto il resto delle nostre percezioni e del nostro corpo. Un riflesso pavloviano che conserva lo stimolo all'esplorazione senza alcuna tregua, “fino e all'ultimo respiro” magnificamente citato da uno dei maestri del nouvelle vague.
Si, è avere una wunderkammer portatile, compagna del viaggio, la nostra aspirazione; tutte quelle citate, tante scatole in una, dove poter sollevare il coperchio e scendere nel fondo, come in quella bellissima canzone napoletana “Cum me”.
L'abbiamo fabbricata la scatola dello “straordinario”, raggiungendo forse quel fondo, in una strana apnea dalla realtà, pur legandosi in un sottoinsieme di questa stessa, continuamente, con interruzioni solo di contatti ma non di rete che è un'energia a sistema aperto , una trasformazione di fase del vuoto; in essa ritroviamo i sogni che non abbiamo fatto e quelli che vorremo fare nel codice 0 e 1.
​E da una valle all'altra, da un continente all'altro, dalla Rift alla Silicon, dalla mandibola kubrickiana alla Hubble satellitare, quegli impulsi di campo ci veicolano nello schermo più magnetico del nostro presente, nella scatola di tutti i giochi possibili e della memoria degli stessi, il talismano magico dei desideri, l'oracolo , il tabernacolo del nostro quotidiano: lo smart-phone, senza il quale ci sentiamo privati e deprivati della mappa, del cordone ombelicale della nostra comunità, sempre pronto a un contatto a una narrazione, a un viaggio verso l'ignoto, alla ricerca di mondi sconosciuti, come la navicella più fantascientifica delle nostre affezioni da consumatori.

2 marzo 2019
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Dedalus e Lucy

POESIEdiTRANSITO LHC nel metròMilanoRoma

​Concludo questa PRIMA PARTE con alcune immagini che sono la memoria di quel nostro album intimo dove le seppelliamo e le ritroviamo, le evochiamo e le rimuoviamo, ne erigiamo una intera civiltà.
Ma gli Anunnaki ne avranno? La teologia cristiana, la mitologia sarà mai nata lì. Qualche giorno fa girava sulla rete un breve video sulla stazioni centrali del metrò di Mosca; erano strabilianti tanto somigliavano a sale di Musei. Non avrei potuto scrivere lì, e neanche mi avrebbero ispirato quei versi, poiché la geografia emozionale dei luoghi aveva già una sua precisa estetica un voler essere luogo e tempo. Quanto posto sono frammenti disomogenei in dialogo tra loro come l'insiemistica nella teoria dei numeri.


21 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

S/T: DOVE SEI?

Quando ero ragazzo raccoglievo e giocavo con le figurine, come tanti di voi. Tutte queste immagini, foto, mappe, disegni, non sono forse tanto diverse da quello spirito di identificazione, di celebrazione di traccia e tracciato da seguire e allo stesso tempo lasciarsi indietro, perdere? 
E l'intera catena di post di fb non è nata come raccolta: libro delle facce. Insomma esploratori raccoglitori continuiamo a esserlo anche se molti di noi non raccolgono le patate o le carote. Abbiamo il terrore di perderci e di perdere qualcosa di noi se non la versiamo in immagini; il mito di Narciso, Eco, Psiche, ci sono dentro e non possiamo separarcene; è un processo di formazione. 
E si, voglio prenderlo così, questo aver dedicato, come Pollicino, al mio crescere il tempo e il gesto di lasciare mollichine, evidenti tracce per perdermi o ritrovarmi? 
Molte volte ho dichiarato nelle presentazioni pubbliche che il progetto di documentare i poeti lombardi mi è nato dal desiderio di conoscere le loro strade battute, d'infanzia, il territorio, i sentieri; rifare quel percorso con i versi e le parole che questi hanno scelto non è forse una forma di raccolta assieme a un raccoglimento? 
Una cosa è certa, è che si può raccogliere solo fuori dal tempo, stando fuori dal tempo corrente, dal suo scorrere, sembra un paradosso. Ecco, direte: la biografia nell'arte non va confusa, ma perché qualcuno la può tranquillamente escludere pensando di poter separare il tempo dallo spazio?
Non procediamo, in tutti i meridiani, a parte la scelta Zen, nella realizzazione di una raccolta dell'album mondiale delle immagini consolatorie di qualcosa di perduto per sempre, ma anche capaci di suscitare in noi una esaltazione, un cambio di stato della coscienza, una chiave per una realtà che ci liberi dalle zavorre del quotidiano? 
Ho sempre pensato che non si è dedicato abbastanza attenzione critica, nel processo della scrittura, ai materiali e ai luoghi dove questa è stata creata, e mi riferisco anche alla cosiddetta poesia lineare. Una lettura e indagine rinsalderebbe lo spazio e il tempo che ci sembra tanto separato nell'opera della poesia. Campana e Leopardi scrivevano su carte e con penne diverse, in luoghi e alterazioni diverse. Andare a caccia di una geografia emozionale è l'indagine che ci tiene legati tutti.
Solo che oggi la sparizione della scrittura è immediata con gli smartphone, cosa che che ci autorizza all'uso di una lingua instabile e allo stesso tempo trasversale e immediata, il supporto è senza coordinate di spazio tempo tanto che nelle finestre delle piattaforme social più spesso viene indicato come una scelta possibile; dove sei? 
Si, è quel dove sei di Pollicino, e quel dove sei del viaggio della vita, e quel dove sei di tutti noi nel quotidiano, o che stiamo tornando a casa, o che non ci possiamo tornare o che stiamo andando incontro al nostro ignoto o al nostro amore, a cui siamo chiamati a rispondere.

17 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

DOVE ERAVAMO Già STATI: il fotone in 10^–43secondi.


Non possiamo sfuggire a un iconismo continuo e permanente del nostro orizzonte percettivo. Qualunque esperienza di contatto con la realtà attraverso linguaggi percettivi la traduciamo appunto in segni sintetici che abbiamo utilizzato come memoria e scambio di formazione per tutto il viaggio fatto dietro di noi, da un punto zero, se c'è mai stato, antropologico e fisico. E' opportuno dire con franchezza che questi segni, divenuti sistemi iconofonici della percezione, utilizzandoli per vendere, li riduciamo a sostituire la realtà da cui sono nati, impoverendone i processi di analisi e conoscenza.
Ma se è l'appartenenza ciò che ci manca, se è solo l'appartenenza che ci completa perché desistiamo dal completamento dell'unica strada che ci renderebbe più felici?
Vivere il reale piuttosto che la sovrastruttura dei suoi significati, come ci ricordano i versi “vivere vorrei, addormentato, entro il dolce rumore della vita”.
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Preferiamo venire assaliti dalla nostalgia di un mondo che noi stessi abbiamo distrutto ponendo la mostruosità dell'io in contrasto con la natura. E non siamo più capaci ora di ristabilire quell'ascolto, quella condivisione, quel viaggio nella bellezza e misura; ci manca il canto, la voce stessa è afona per intonarne l'offerta. E per questi mali e assenze che si cerca il cielo e le stelle, nel viaggio che prima di me hanno compiuto in tanti, e ogni giorno del nostro risveglio è una speranza a cui vogliamo, dobbiamo credere; ecco quanto sentivo del sussurro, del richiamo intorno a me nei luoghi di transito, nei tunnel del passaggio, sul volto, negli sguardi, nella fretta dell'isolamento. E dietro ciascuno si portava il rancore di non aver detto tutto, di aver taciuto il desiderio più grande, di poter dire: ci sono: vivo!
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La città cambiava intorno a me, l'Italia cambiava nei volti dell'immigrazione e della povertà allargata lasciandosi inghiottire e illudere dalla corruzione della classe dominante al servizio delle finanziarie spietate del capitalismo mondiale.
L'arte è diventata iconica quando ha voluto dare all'uomo le sembianze di un dio, trascendendo la natura e in un certo senso assoggettandola con una volontà di potenza che quel dio stesso gli avrebbe concesso a condizione di una sottomissione del corpo oltre che dello spirito. Ma quel processo nato nella condivisione del gruppo di appartenenza e del rito ha subito una fase di inflazione molto simile a quella di Guth che ha rotto l'equilibrio iniziale, decretandone una fase di surrogazione, dove la “copia” la preferiamo all'originale, quando addirittura non ne ignoriamo finanche l'esistenza e l'unicità fragile del suo stato di nascita: la incomparabile condizione di essere un frammento spazio-tempo e perciò della nostra storia.
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Ero nel delirio, si, come quando il sonno non ti prende perché l'anima è troppo piena di cose da dare e non trova la via, non c'è più lingua comune, si è nel mosca-cieca del destino. Tutte le notti ci sembrano promettere e finire, dopo l'insonnia, con un cambiare vita, un battesimo d'acqua e grazia: una semplice rinascita. Una rinascita che ci mostra ciò che prima non avevamo mai visto, accecati dal troppo desiderio, da un mal riposto interrogare la natura della vita, la sua impermeabilità al tempo e alla volontà di potenza, riconoscendosi solo nell'acqua che scorre. Come per quelle originarie ombre noi desideriamo e vogliamo solo le cose che ci raccontano del vero in un calco; non abbiamo più lo stomaco per fronteggiare il reale e ne aneliamo il surrogato in “un mondo nuovo”. Eppure resistere vuol dire non dimenticarsi e accedere a quelle ombre infiammando il tuo mondo ogni giorno, ogni minuto di quel poco di luce che un fotone può concederti e illuminarne, con un segno, un verso, il destino comune, il ritmo del soffio del cuore.
​
La nostra fragilità è nel aver dimenticato i limiti, i limiti di essere, non il tutto, ma solo una parte di quella natura che ci sovrasta, un suo frattale? E va bene, ma come la ripetizione differente di un numero periodico variabile, quando la fluttuazione quantica ancora non aveva dato vita a gerarchie, prima di ogni immaginario che ci distingue?

13 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

DAL GRAFFITO AL LASER: O-tu-poesia

Non ho mai pensato di scrivere un libro, almeno per come lo si intende: progetto, fogli copertina e confezione. Non sto dicendo che non mi piace scrivere, anzi, ho sempre scritto come ho disegnato. Si tratta del senso commerciale dell'oggetto; e per fortuna sono capitato in una generazione critica che stava riflettendo molto sullo strumento e forma-contenuto libro che tutto sommato mi ha tenuto alta la tensione creativa e la riflessione formale. Solo il pensiero di rivolgersi ad un editore o all'editoria in generale come è stato lo stesso per le gallerie d'arte era avvilente. Un ingorgo d'ogni genere premeva e preme per comparire sul palcoscenico del mondo; e credendo io, in fondo, di essere una natura zen, benché abbia le mie contraddizioni, non separandomi dal desiderio, soprattutto dell'incontro e dell'ignoto; considero l'identità un fatto puramente accidentale, per meglio dire a cui non bisogna dedicare tempo più di tanto, pena l'annegamento. 
Si, è bello essere acqua, così piena di memoria , ma per raggiungere un'altra acqua come la fonte il mare, ricordando un siciliano mito di turistica frequentazione; e così che le parole sono la fonte e la scrittura il mare. Più volte, in più occasioni di esperienze, mi spingo o mi ritrovo alla radice di una condotta e del suo linguaggio.
La prima stampa ed edizione è letteralmente da strada, per la strada e con la strada. Non l'ho cercata mi si è manifestata seducendomi come nel più ampio mito intendendolo per narrazione di volontà e psiche. E già che ho scritto anche prima della stagione self-card e ho scritto a penna; ma in quegli anni vivevo molto per la strada e sempre mi frullavano in testa dei versi. Un giorno ho visto qualcuno estrarre un cartoncino dalla macchina dei biglietti da visita e mi sono avvicinato; non le fornii neanche il denaro che forse lo aveva trattenuto da un precedente utilizzatore, tant'è che cominciai a scrivere scegliendo un modello grafico, e ad una ad una, con la pressione degli indici, le lettere s'iscrivevano nel display con una fioca luminosità azzurrina, quasi fossi sul computer di guida dell'Enterprise. 
Era l'invocazione alla musa

“Poesiaditransito-Invocazione
O-tu-poesia-o-tu-poesia/ditransito
dimenticata-follia/rendimi-il-mito-sotto-ceneri/gravitazionali/bella
​come-una equazioneNewtoniana/

stamp.cop.16S.Babilametrò2.10.94/Vincenzo Pezzella/”

In fondo scrivevo per strada di già nella mia infanzia col gessetto bianco sull'asfalto e sulle larghe piastrelle di mattoni rossi del mio cortile, sulle pareti della scala in una gara d'invenzione e filastrocche. E come fossi l'ultimo scriba registravo, alla fine degli anni novanta, la visione di quei non luoghi, quasi fosse l'ultima traccia di respiri e versi in una griglia calcolata più di ogni metrica già nota e storica.
Quella scrittura aveva un tono clandestino già che forzavo la macchina e i suoi programmi che erano stati pensati per essere puramente didascalici; m'immergevo nel testo descrivendo ciò che intorno a me vivevo , un poco come al fronte segnava il nostro poeta dell'allegria e dei sassi, ma il mio fronte era ben più invisibile o/e camuffato in una sotterraneità veloce e allucinata: si trattava dell'assenza. 
Ho sempre pensato che la scrittura è uno stato di esaltazione della coscienza in altro modo non sarebbe possibile, i surrealisti la confondevano con l'inconscio ma la segnatura, calligrafia della lingua in uso, non permette totali spaziamenti incontrollati dell'inconscio, piuttosto di gestione del super-io, l'io di una coscienza che sa di essere in un viaggio collettivo, di raccontare un'appartenenza.

7 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

DNA

Il DNA dell'uomo sta nella sua “grazia” o “epifania”; nessuno vi sfugge, anche chi non è consapevole.
Tutti hanno un destino senza porte e nessuno vi può rinunciare.
Pensate a tutti coloro a cui siamo legati e gli dobbiamo la vita senza averli mai conosciuti, né mai ci giungeranno loro tracce, voci, suoni o protezioni. Eppure e su questa montagna di morti che noi erigiamo il nostro quotidiano apparentemente eterno. Non è stupida cosa il concetto “primitivo” degli antenati che esprimevano gli Indios; conteneva un tono di ringraziamento che abbiamo perduto per sempre?! 
Vi sembrerà strano a dirsi, in fondo questo mio viaggio era spinto da un desiderio di ringraziamento; e direi che non c'è altro modo di viaggiare; ma io volevo andare là dove potevo incontrare Gilgamesh, Ulisse, Virgilio, Dante, nel tunnel oscuro dell'iper-spazio, dove loro tutti sono ancora fissi nel tempo assente, che si apre sui molti-universi; quelli che possiamo vivere anche leggendo quando il fiato si fa parola e come avrebbe detto l'aedo cieco: “l'anima gli volò come un soffio”.

5 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

Una polaroid come W.W.W.

​In questa polaroid sono come un protone nei fasci dell'LHC. 
Il circuito deve essere circolare; nessuno ipotizza che il cosmo sia quadrato. Né tanto meno i sistemi solari o le nane rosse o le galassie sono prismatici ma piuttosto una corona, un toroide, uno sferoide. Dell'universo si misura la curvatura per definirne l'ipotesi di sviluppo, insomma la nostra testa è più o meno “rotonda”, il cervello è una calotta, s'iscrive in un igloo, che strano! 
Della relatività si parla come curvatura dello spaziotempo, dei motori con una velocità oltre C si parla di, appunto, motori a curvatura. 
E in questa foto, sebbene possiedo una leggerezza più vicina a un elettrone, sono comunque nel viaggio dei circuiti della vita, come tutti, più o meno inconsapevoli, di quegli urti o sfioramenti che ci hanno fatto incontrare, condividere o separare. Un magnetismo psichico ci orienta, e, forse biologico, nella pineale che già gli egizi conoscevano e stimavano centro dell'orientamento più grande dell'individuo. Un occhio nascosto che vede più e meglio , o altro, dei due frontali puntati agli orizzonti, questi sempre lievemente curvilinei nello spazio curvo...
Per tutta l'intera vita siamo particelle conduttrici che si orientano e creano campi.
​Girava con me, è proprio il caso di dire, un post locandina negli spazi pubblicitari dei vagoni; è dietro alle mie spalle, in cui si segnalava una mostra e una lettura che avrei fatto in quei giorni del 1995-6, nella galleria Derbylius in via dei Piatti a Milano e che oggi non esiste più; la conduttrice, Carla Roncato, è morta di cancro qualche anno fa.
Quel viaggio ancora lo proseguo in altri circuiti che l'avventura mi porta, come questo, fatto di immagini e scrittura liquida e idee liquide e va bene, ogni nuova esigenza spinge in avanti l'esplorazione e viceversa; guai non fosse più così, lo zero assoluto cosmico ci sovrasterebbe; solo il movimento salva la vita, sia la meccanica celeste di Newton che quella quantistica di Bohr. 
Come si trasmetta il messaggio, talvolta ci resterà un mistero ma ciò che conta è provarci è tendere a quel contatto a quella condivisione, che strano a dirsi, pure questa stessa della rete, il W.W.W., è nata lì nell'LHC.

4 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

LA MUSA SELFCARD​

Eccomi, dopo aver tagliato le cipolle per una zuppa riprendo la narrazione, almeno per chi mi sta leggendo.
Non è la macchina del “cioccolato” ma della lingua prima che diventi liquida, l'ultimo brandello di memoria e conservazione prima di sbiadire, sparendo negli smart-phone. Lo strumento conserva il suo erotismo e il ruolo di musa, che le ho riconosciuto accogliendo la sua seduzione, e a cui ho dedicata l'intera Opera PoesieDiTransito. La penna laser e la scrittura è l'inseminazione nel suo ventre che elabora il testo e ne partorisce la riproduzione. 
Molte altre letture critiche, oltre i miei brevi spunti naturalmente, possono completare gli strati di analisi di questa esperienza, performativa e letteraria, e siete invitati, se vi suggestiona l'opera, a provarci e proporle con nuovi testi, anche se son trascorsi quasi 25 anni da quella stagione di peregrinazione e scrittura. 
Il più recente ultimo, veramente pertinente, denso di analisi e letture, lo ha scritto Enrico Bugli e per l'occasione l'ho inserito in una pubblicazione che avrete visto comparire sulla rete in fb: Le PoesieDiTransito nel PulcinoElefante, ma è presente anche su una rivista on-line, Sdefinizioni.
Le macchine self-card sono comparse a diversa generazione tecnologica, io stesso ne ho utilizzate diverse e i cartoncini il logo e la stampa ne raccolgono i caratteri. I testi che ho scritto sono forma e contenuto inscindibile. La macchina stessa è divenuta una mia opera, anche se per ora non ne posseggo alcuna; nella foto ci fu data in prestito per l'istallazione che realizzai; eravamo nel 1999 o 2000. 
Il dialogo o la citazione del ready-made con M.D. è un elemento dell'opera, e l'ironia stessa conferma l'altro personaggio che viaggiava con me James Joyce e il suo Bloom.

2 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

DI MAPPA IN RETE

Intorno a grandi ammassi si dispone una rete di filamentosa materia oscura proprio come intorno a noi ruota tutto quel che c'è dello spaziotempo, contenente l'esistenza degli altri che ci è sconosciuta, degli individui, non ancora incontrati, quelli che non incontreremo mai e quelli che per ora ci sono sconosciuti. Sono sempre stato affascinato dalle mappe e soprattutto da quelle metropolitane (forse Mullan ne sarebbe stata contenta nella sua spedizione da guerriera). La loro visibilità di superficie contiene percorsi nascosti, reti e contatti che ripetono micro e macro strutture; mi hanno sempre ricordato un gioco che mi piaceva tanto e che facevo con il gessetto sul mattonato del cortile e della strada ed era: il serpentone, una pista percorsa con i tappi di birra e il mondo o settimana, una mappa di giornate con tanti variabili percorsi possibili, a scelta e obbligati, saltando caselle e cifre. 
Nel disegno che carico c'è un omaggio grafico, una citazione a un artista vivente che è stato il primo estimatore di quella mia stagione creativa, e la sua prefazione alle mie PoesieDiTransito la considero ancora tra le più acute e pertinenti, molti abitué dell'ambiente certo lo riconosceranno; il suo segno che ormai è divenuta la sua cifra si inserisce perfettamente dentro il percorso della e delle scritture, segno e simbolo, sto parlando di Emilio Isgrò.

1 febbraio 2019
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Dedalus e Lucy

AL BOOK SHOP del CERN

Eccola la copertina è la metà di un A4. Ho impostato questa grafica di collane nel 2009-10, c'era con me Fanny, una studentessa della statale, in stage; allora realizzammo la prima copertina per il primo titolo dedicato a Marcel Duchamp e sulla quale ho disegnato un rebus. Avevo subito scartato la soluzione delle foto per concentrarmi su un'idea di pezzo unico, di libro come disegno, la copertina come una custodia, un ingresso, ma anche un segreto, una mappa. Niente di più diretto che disegnare sul bianco come tracciare percorsi su una pianta un po' algoritmo un po' scrittura e simboli. L'esecuzione è avvenuta con il mouse, disegnando con semplici programmi da computer. E ora questo libro è al bookshop del CERN. Sicuramente il posto più internazionalmente frequentato di culture e lingue. 
Mario Campanelli, il fisico che lo ha scritto, è un insegnante e ricercatore degli esperimenti di Ginevra che ci narra della fisica e del bosone come di una storia a sorprese. Quanti aspetti potrei toccare di questa esperienza di grafica, piccoli e grandi filamenti di barbe come un bulbo pronto alla sua fioritura. Ne basti questa: la pubblicazione delle poesie di Maxwell, che lo ha proceduto, quale lettura colta del più noto artista dei ready-made M.D., veniva regalato a Natale di qualche anno fa da fisici ad altri fisici come una vera gradita sorpresa sotto l'albero.

1 febbraio 2019
Foto

Dedalus e Lucy

Autoritratto 

​Eccomi. Si, sono stato qui; se zumiamo indietro nel tempospazio, forse, troviamo ancora qualche particella del campo che si è leggermente curvato e allo stesso modo delle sinapsi che hanno scintillato. 
A “una passante” ho chiesto lo scatto dopo aver provato l'inquadratura. Chissà ora dov'è quella ragazza, che viaggio ha fatto? La mappa è un'emozione che è a sua volta una geografia di spostamenti e di incontri, questo è quanto ho inteso ritrarre alla prima intenzione; devo dire che mi sono emersi, anche se alla rinfusa, tutti i personaggi incontrati nelle letture e nella formazione preceduti da questo evento e dalla narrazione che ne è seguita. Una folla di “uno nessuno e centomila”, una molecola nella turbolenza dei gas interstellari, cefeidi splendenti, buchi neri sorprendenti. 
La polaroid è stata scelta per la sua unicità performativa, proprio in un momento di transizione della riproducibilità delle immagini. Una foto, assoluta, senza possibilità di ripetizione come la vita. Il suo supporto chimico che intereagisce con la luce aggiunge a quel viaggio di scrittura il transito reale dell'uomo, del suo “corpo” nello spaziotempo, sostenendo la gestualità della scrittura con la gravità della meccanica quotidiana, urbana, terrestre. 
Non ho mai smesso di giocare; quando ero in transito e operavo queste performance, nel 1994, utilizzando linguaggi diversi, mi sono sempre sentito come quando vivevo in strada da ragazzo e l'avventura era a 360°. L'accumulo delle figurine dei calciatori non era poi tanto diverso da questo delle foto, qui seguono un progetto negli anni 60 me li disponeva il caso. La richiesta iconica ha più o meno subito delle varianti, nelle figurine erano le pose non convenzionali, nelle polaroid la loro immediatezza di transito o di citazione dello stesso, come in questa immagine da cui ho creato, nel 2002, il logo ARCHIVIO DEDALUS. 
Nella formazione non c'è mai frattura, perché una continuità sotterranea ci orienta come una bussola e forse un daimon, “uno strummolo”, direi ricordando quello a cordicella di Maxwell come il mio con lo spago.

31 gennaio 2019
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Dedalus e Lucy
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Veniamo da lontano: siamo protoni

È dai tempi di Gilgamesh e forse anche prima, che questa storia va avanti: la ricerca dell'immortalità. Un testimone raccolto da altri a staffetta, la fiaccola dell'elisir; Orfeo e Euridice, Dante e Beatrice, Dedalus e Lucy. 
Quando ho visto in foto la sezione dei magneti dentro i quali girano i fasci di protoni li ho subito immaginati ben coniugati a collage nel disegno che volevo fare. Per me è una grande sfida e un grande conflitto perché chiedo dal disegno non una abilità manuale decorativa quanto piuttosto una visione del mondo, una presenza del qui storico. Che senso ha imitare Durer, Pisanello o Doré, o anche i cartoon, che sono piuttosto sceneggiatura per il cinema? 
E ce ne sono pochi che hanno questa proprietà di racchiudere, una conoscenza di tappa una visione, dopo l'uomo vitruviano di Leonardo dinnanzi al quale, penso, non si può che inchinarsi e apprendere. Che cosa vuol dire disegnare l'uomo? La sua fronte, il suo naso, la sua muscolatura in mostra per che cosa, per quale evento? Volendo indicare quale armonia o misura? Quale sapienza e/o dominio? Ebbene Leonardo poteva condividere un “uomo” che viveva in spazi finiti e ristretti, portava con sé tutta l'impalcatura della propria macchina fisica dell'organismo come frattale della natura.
​Noi l'ombra di quello; quell'ombra che una carica atomica può lasciare di noi su un muro, quel quark non distinguibile né nello spazio e né nel tempo; una fluttuazione dal vuoto. In fondo possiamo dire che eravamo più che nel senso del Rinascimento, direi nell'infanzia dell'umanità: l'ultimo suo ritratto da cucciolo.

31 gennaio 2019
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Dedalus e Lucy nell'LHC

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​Non ci sono luoghi sulla terra, al di fuori della Grecia di Pericle, in cui, negli ultimi anni, ho avuto desiderio di andare: l'unico è LHC. 
Questo sentire mi ha sempre tenuto in disparte dai più naturali desideri di viaggio per la maggior parte delle persone, e nella piramide delle priorità, questa meta, quando espressa, ha sempre provocato sconcerto se non disappunto e benevola irrisione. Ma tant'è che chi mi conosce si sorprende sapendo che non viaggio da più di vent'anni; l'ultimo mio viaggio è stato quello delle PoesieDiTransito.
Anche questo, forse, potrebbe essere considerato un non luogo e tutti i luoghi allo stesso tempo.
Alla ricerca di tutto lo spazio e di tutto il tempo esso non è solo un concentrato di magneti, calcoli e energie ma soprattutto di neuroni e psiche. Questo è il lato che mi affascina non meno delle configurazioni irridenti delle particelle subatomiche nel loro decadimento, apparire e disparire. 
Ed è pur vero che il destino te lo chiami, in parte, se vuoi, quando mi si è presentata la possibilità di disegnare la copertina di un libro in cui si racconta dell'anello e del bosone, non sto a dirvi com'è accaduto, che sarebbe tutta una storia a sé. Penso con convinzione che il disegno era già pronto e che mi stesse aspettando sopratutto per svolgere il ruolo di annuncio, tenuto conto delle mie riserve a compiere oggi questo viaggio, non avendo ancora maturato una buona idea per dissertare con i fasci dei protoni, e sulle questioni della temperatura infinita o finita? 
Dedalus e Lucy, in questo viaggio della scrittura, mi hanno preceduto, sono la mia avanguardia, il punto più avanzato dell'immaginazione che dialoga con lo spazio/ tempo. E così come nel cinema di miglior tradizione si comincia dalla fine per tornare all'inizio della storia anche nella temperatura siamo alla fine e stiamo andando verso il congelamento così come il risveglio di Earwicker è una narrazione che cerca il suo punto di partenza, il suo inizio. E con questa insoddisfatta tensione, mi rassegno, a che possiamo solo immaginare l'infinito ma non lo possiamo sperimentare.

31 gennaio 2019
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Dedalus e Lucy
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Descrizione del disegno: penna a inchiostro, 21x29,9 su carta fabriano, 1995; 
Archivio: Vincenzo Pezzella Dedalus.

La prima figura a sinistra è Rimbaud; l'ho disegnato ricordandolo a memoria da una illustrazione, risale a un ritratto che gli fece Paul Verlaine nel 1872, quando si frequentavano a Parigi. La seconda figura sono io nel 1994, la terza è Lucy, l'ominide scoperto dai coniugi Leackey nella Rift Valley negli anni '70.

L'anello che ci circonda non indica un hula-hoop ma un ciclotrone e/o LHC.
L'insegna della Metropolitana indica la rete come circuito del transito della psiche dell'energia tempo/spazio ma sta anche per sotterraneità archetipa, Ade, Demetra e via discorrendo, Persefone e il suo ritorno per il ciclo di fioritura della natura.
L'illustrazione è una metafora del “viaggio della specie e della scrittura”.
​Lascio in rete altre libere letture a chi vuole cimentarsi.

30 gennaio 2019
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Un'autobiografia

Questo mio viaggio è molto simile a quello dei protoni nell'LHC e a quello del Big Bang. Sono due metafore eccellenti per me. Anche nel mio viaggio c'è stata una fase di oscurità e di invisibilità, di tutta la produzione degli anni '70-'80-'90 ma dal 2004, data di acquisto del mio primo computer, la visibilità dei propri progetti è stata resa possibile dalla rete. In quella data ho realizzato un sito dell'opera in corso ARCHIVIO DEDALUS EDIZIONI e caricato i miei documentari sulla poesia realizzati in quella stessa stagione sperimentale e creativa. 
Per un abbassamento della temperatura i fotoni si liberano dal brodo primordiale e ci giungono dal cono del tempo; e così dall'indistinto ingorgo creativo del quotidiano delle grandi statistiche, che lasciano filtrare solo i sistemi pubblicitari, occupando tutta la visibilità, nasce per me, negli anni 2000, un nuovo fuoco, simile a uno specchio ustori, per la capacità, prima di concentrare, e poi di diffondere il messaggio: la rete. 
Ebbene l'antropologia della rete e il paradigma della stessa mi avevano accolto sin dal 1994 con l'esperienza di scrittura dell'Opera PoesieDiTransito, realizzata nella rete metropolitana e nella rete autostradale; ecco perché comincio da qui, come se da questo punto iniziasse il visibile dell'esperienza creativa, pur avendone alle spalle, indietro molte più tracce depositate nel plasma indistinto dell'accumulazione di oggetti, se letta dal verso del patrimonio, conservazione dell'arte e della cultura, e se letta dal verso dell'entropia universale: la consapevolezza del ridimensionamento di ogni utopia di illusione e di possesso.
Dare un nome alla materia e alle creature del mondo è un nostro bisogno di classificazione, così anche questa seconda nascita si aggiunge all'esperienza del viaggio, incrociando altri viandanti, intramontabili testimoni, e dalla sete di conoscenza di Icaro alla sapienza di Dedalo ( anche qui un circuito, un sistema, una rete) di voler dialogare con le leggi della natura, mi ribattezzo nella terza generazione: Vincenzo Pezzella Dedalus.

29 gennaio 2019
Foto

Dedalus e Lucy

​Grazie fb per aver sollecitato questo post che darà inizio ad un evento non evento. La rete stessa sarà navicella spin di questo viaggio. Un'autobiografia possibile comincia nello spazio/tempo.
Non può essere altro che un viaggio piccolo borghese come quello dell'antieroe ma che, in questo caso, non ha neanche una meta, una destinazione, puntando solo a una trasformazione di fase. L'anello di fb è solo un più esteso circuito, dopo quello del metrò e dell'L.H.C. in cui girano i fasci, là di protoni, qui le idee.
Come per le biografie così ci sono le autobiografie

28 gennaio 2019
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